mercoledì 27 aprile 2011

Cos'è la guerra? Rispondono i Thirty Seconds to Mars!



Arriva il quarto singolo estratto dall'ultimo album del gruppo americano Thirty Seconds to Mars, This is war. Il brano, che da il nome all'album stesso, tratta in generale il tema della guerra, tentando forse di decodificare il significato di questa parola con frasi semplici e nette.
Il video inizia con una citazione dello scrittore inglese H.G. Wells 'if we don't end war, war will end us' (che tradotta significa 'se non finiremo di far guerra, la guerrà ci finirà') e seguito da un'altra frase 'This is a song about peace' (questa è una canzone sulla pace) e da fotogrammi scattati da satelliti e strumenti di localizzazione utilizzati dalle truppe degli eserciti.
Successivamente, come se fosse un film appena uscito dalla mente di un regista Hollywoodiano, appare in primo piano un paesaggio arido e secco, dove i tre musicisti svolgono il ruolo di soldati, a bordo di una jeep bianca che attraversa il territorio.
Si susseguono una serie di immagini, accompagnate dalla voce di Jared Leto, che mostrano volti di vittime, civili, soldati, ma anche presidenti americani e uomini illustri, cominciando da Kennedy e Bush e arrivando persino a Winston Churchill, Martin Luther King e Mahatma Gandhi.
Taglienti sono invece le scene in cui vengono inquadrate case che esplodono, ragazzi che lottano per strada contro la polizia, soldati costretti a usare le armi per difendersi e leader come Fidel Castro, Saddam Hussein, Zhao Ziyang.
Affiancati alle figure di questi allusivi personaggi, il video presenta inoltre brevi flashback di marce, fughe, bare di uomini morti per il cosiddetto amor di patria, missili e bombe, come se il regista avesse voluto creare un puzzle ricco di frammenti raccapriccianti  messi in congiunzione tra loro.
Ma bisogna soffermarsi sui tre protagonisti del cortometraggio. Sono semplici militari, uomini di pace con i visi segnati dalla paura e dall’insicurezza. Sanno di dover sparare, di dover proteggersi dal pericolo, dal loro nemico…ma il loro vero nemico dov’è?
I tre ragazzi infatti fanno fuoco verso un avversario invisibile, che non viene mai inquadrato dalla videocamera, come se in realtà non esistesse.
Il video si conclude poi con una serie di carri armati, elicotteri e altri oggetti che iniziano a volare per aria, fino ad assemblarsi tra loro e formare una piramide, simbolo del gruppo.
La canzone nel complesso risulta semplice, quasi essenziale, caratterizzata dalla voce del cantante che alterna suoni gravi e acuti in un crescendo continuo. 
Lo scopo di Leto è quello di narrare, di raccontare, come se fosse un nuovo poeta di guerra che sente il bisogno di lasciare un avviso, di segnalare ancora una volta quanto sia inutile combattere e uccidere per accontentare le manie e i vizi di uomini potenti che puntano solo al denaro e al proprio arricchimento.
Non sono importanti in questo caso le particolarità della musica, gli assoli o le capacità di ogni singolo musicista.
Ciò che conta è l’estremo realismo che offre questo video. Siamo state vittime, lo siamo e potremmo ancora esserlo.

Ma analizziamo adesso i simboli!

Come molti sapranno, la caratteristica dei 30 Seconds to Mars è quella di utilizzare innumerevoli simboli nei loro video. Proveremo ad analizzarli attentamente, cercando di interpretarli nella maniera migliore.


Nella prima immagine, sul casco di Jared troviamo due carte da gioco, un re e una regina di picche. Probabilmente un riferimento al loro primo singolo estratto, Kings and Queen.


Nella seconda immagine viene inquadrato per un secondo il casco di Shannon, con una frase che può esser tradotta in questo modo: al momento è tutto ciò che ho, quindi questo è il momento in cui vivo.
Potrebbe riferirsi alla vita di un soldato mandato in battaglia. La sua esistenza assume una diversa prospettiva. Non ha familiari accanto, amici o parenti, soltanto la guerra può fargli compagnia. Diventa così un contrasto, questa sua consapevolezza di sentirsi vivo in un luogo che odora di morte.

Nella terza immagine troviamo un’altra scritta sul casco di Shannon, L 490.
Questa è una composizione musicale presente nell’album, di circa quattro minuti di durata, priva di accompagnamento vocale. Shannon ha infatti preso ispirazione da una preghiera buddista, the hundreds of deities of the joyful land, la quale si basa su idee di pace e speranza, per comporre il pezzo.



Qui invece possiamo notare che la bandiera americana è cucina sulle uniformi dei soldati in maniera rovesciata. Che possa indicare un possibile desiderio di non seguire gli ordini imposti dal governo? Di opporsi?


E infine, sembra d’obbligo cercare di capire la scelta di non mostrare il nemico contro cui combattono i tre protagonisti.
Questa decisione può avere due significati:
La prima può riferirsi al fatto che il vero nemico in realtà non esiste. Le guerre mettono in conflitto uomini che non si conoscono e che non vorrebbero mai uccidersi tra loro.
Prendendo come esempio lampante la guerra in Iraq, come credete che possa sentirsi un soldato americano che esegue l’ordine di sparare verso persone che, sostanzialmente, non hanno mai fatto del male nei suoi confronti?
Ma il secondo significato è forse più profondo, più personale. Si combatte contro se stessi, contro le proprie paure, contro quell’io che alberga nelle nostre anime e continua a non piacere. Ha forse un lieve collegamento con la doppia identità, tema già affrontato dai 30stm nel loro video The Kill, dove i musicisti devono far i conti con i propri alter ego.
La guerra potrebbe esser dunque anche questa. Combattere contro se stessi, contro le scelte sbagliate, contro le oppressioni e le sofferenze.

Forse è proprio questo che vuole trasmettere il gruppo agli occhi della gente; La guerra, che lo si voglia o no, resta purtroppo una piaga impossibile da curare. E non basta dire ‘desidero la pace nel mondo’ oppure ‘voglio che cessi ogni conflitto’.
Il fatto che ci sia proprio quel riferimento a una preghiera buddista che parla di speranza, lancia un grande messaggio. Non bisogna cercarla fuori, la pace. Bisogna esser pronti a scovarla interiormente.
E come dovremmo iniziare a farlo noi, persone che non abbiamo voci in capitolo di fronte ai mali dell’universo, dovrebbero farlo soprattutto i cosiddetti Grandi Uomini della Terra.
Ma naturalmente, se questi ultimi non saranno in grado di afferrare questo concetto e continueranno imperterriti a seguire le loro (cieche) opinioni, potremo solo dire con rammarico this is war.


Alessia D'Ippolito

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